Resoconto del Convegno ADIT 2018 “Migrazioni/Migrationen”

Convegno ADIT 2018

Convegno dell’associazione Alumni DAAD Italia Migrazioni/ Migrationen

Manuela Caterina Moroni

Sì è svolto a Napoli dall’8 al 10 novembre 2018 presso il rettorato dell’Università L’Orientale a Palazzo Du Mesnil e l’aula Pessina dell’Università Federico II il convegno interdisciplinare dell’associazione Alumni DAAD Italia (ADIT) Migrazioni/Migrationen. L’ADIT è stata fondata nel settembre del 2016 e riunisce persone che vivono in Italia e che grazie ad una borsa di studio del DAAD (Deutscher Akademischer Austauschdienst, l’ente tedesco per lo scambio accademico) hanno trascorso uno o più periodi di studio e ricerca in Germania. L’ADIT si impegna ogni anno ad organizzare eventi con l’obiettivo di stimolare il dibattito culturale tra i propri soci. Con il convegno di quest’anno l’associazione ha inteso riflettere sul fenomeno migratorio nelle società occidentali con particolare attenzione a Italia e Germania.

Per cercare di rendere conto della complessità delle migrazioni, il convegno è stato suddiviso in sei sezioni tematiche. La prima sezione era di carattere giuridico. Corrada Giammarinaro (avvocato-libero professionista) e Rolando Tarchi (Università di Pisa) hanno affrontato, facendo riferimento a sentenze attuali, il ruolo della giurisprudenza di merito e delle corti costituzionali italiana e tedesca nel processo di un auspicato ampliamento dei diritti civili e sociali che garantisca la convivenza pacifica degli individui nelle società multietniche. Carlo De Angelo (Università di Napoli L’Orientale) ha portato il punto di vista del diritto islamico sul fenomeno migratorio. In particolare, ha spiegato come i giuristi in ambito islamico si possano dividere in integrazionisti e separatisti. Se la maggior parte degli studi su questo tema approfondisce la posizione integrazionista, ovvero quella che ammette la migrazione islamica verso l’occidente pur con una serie di restrizioni e condizioni, meno studiata è invece la giurisprudenza separatista, di stampo salafita, che al contrario non ammette la presenza di minoranze musulmane in occidente. Ha chiuso la sezione l’intervento di Andrea De Petris (Università Giustino Fortunato, Benevento) che ha mostrato come dal punto di vista giuridico la distinzione tra migrante economico (irregolare, e quindi da rimpatriare) e migrante rifugiato (regolare), insieme alla narrazione del fenomeno migratorio come emergenza, sia infondata e vada contro l’interpretazione dell’ONU dei soggetti migranti come soggetti da accogliere indipendentemente dal loro status giuridico. De Petris ha inoltre sostenuto la tesi secondo la quale proprio la narrazione e la gestione dei migranti economici come soggetti illegali produca essa stessa marginalizzazione sociale e sia potenziale causa di criminalità e illegalità.

Alla sezione di ambito giuridico è seguita quella di carattere linguistico-letterario. Ulrike Marie Reeg (Università di Bari) ha dedicato il suo intervento alla letteratura nata in contesto migratorio con particolare attenzione all’ambito germanofono. Anche se non si può parlare né di una corrente letteraria né di un gruppo omogeneo di scrittori, secondo Reeg, molti degli autori della Literatur in der Migration hanno come denominatore comune la scrittura in lingua tedesca come “lingua della distanza”, perché lingua del paese “di arrivo” e acquisita in età adulta. Sulla base di esempi tratti da autori come Gino Chiellino, Franco Biondi, José F. A. Oliver e Zé do Rock, Reeg ha mostrato come questa distanza debba essere interpretata come produttiva e fonte di grande creatività e come questo tipo di letteratura, oltre che dare sguardi profondi su esperienze individuali di migrazione offra una esperienza estetica unica proprio in virtù del rapporto che gli autori hanno con la lingua in cui scrivono. Nel suo intervento Gian Carmine Bongo (Università di Napoli Federico II), dopo un breve inquadramento della questione dell’integrazione linguistica nella legislazione della Germania, ha chiarito cosa si intenda in Germania con integrazione linguistica e in quale modo questa venga perseguita attraverso approcci didattici e materiali specifici. Bongo in particolare si è soffermato sulle linee guida elaborate dal Goethe-Institut per la strutturazione dei corsi di lingua tedesca per migranti (Rahmencurriculum für Integrationskurse – Deutsch als Zweitsprache). Ne è emersa una concezione fortemente pragmatica: L’uso della lingua nella vita quotidiana e le azioni linguistiche necessarie per muoversi nella società costituiscono gli obiettivi del Rahmencurriculum e determinano la scelta delle strutture grammaticali oggetto della didattica (e non viceversa, come spesso avviene per la didattica del tedesco come lingua straniera). Interessante e rivelatore della concezione di integrazione che sta dietro il Rahmencurriculum è il riferimento a due azioni linguistiche che non costituiscono esigenze comunicative primarie ovvero la tematizzazione della propria esperienza di migrazione e dei propri progressi di apprendimento linguistico in tedesco, che si configura come Zweitsprache, ovvero una lingua appresa dopo, e quindi seconda (zweit), ma al contempo primaria perché per il migrante va a sostituire la lingua madre in molti ambiti del quotidiano. A chiusura della prima giornata di lavori Olga Martynova, scrittrice russa che vive da molti anni a Francoforte e scrive in tedesco, ha letto degli estratti dal suo ultimo libro Über die Dummheit der Stunde e ha dialogato con Valentina Di Rosa (Università di Napoli L’Orientale) sulla sua poetica e in particolare sul ruolo che la lingua tedesca e quella russa hanno nella sua scrittura.

La seconda giornata del convegno si è aperta con una sezione dedicata a migrazioni e le sfide della scienza con gli interventi di Donatella Termini (Università di Palermo) e Giuseppe Ragonese (C.E.O Spinoff Safety Eviromental Engineering – Università di Palermo). Entrambi si sono concentrati sulle condizioni di vivibilità dei paesi dai quali partono i flussi migratori attuali verso l’Europa. Donatella Termini ha affrontato il problema della mancanza di acqua nel continente africano. Dopo aver fornito dati sulla siccità e mancanza di acqua potabile in Africa e sulle gravi conseguenze di ciò per la popolazione, ha illustrato un modello di tre azioni che contribuiscono ad affrontare la mancanza di acqua. La prima azione consiste nel favorire la costruzione di opere di captazione dell’acqua da falde e di processi che ne permettano la potabilità e strutture di trasporto (canali e reti di acquedotti). La seconda azione riguarda l’ottimizzazione e la sostenibilità dell’uso dell’acqua con la costruzione di sistemi di raccolta e riciclo dell’acqua piovana e l’installazione di impianti microidroelettrici per la produzione di energia. Infine è necessario che i paesi occidentali avviino percorsi formativi e culturali per la popolazione locale. Giuseppe Ragonese ha parlato del contributo della ricerca sulle fonti di energia alternativa e rinnovabile al miglioramento della vivibilità nei paesi del terzo mondo. In particolare ha illustrato le principali tecnologie di energia rinnovabile che si stanno diffondendo sempre più nei paesi in via di sviluppo, che rappresentano mercati sempre più attrattivi per investimenti in questo tipo di tecnologie sviluppate in occidente. Soprattutto si stanno diffondendo sempre più i pannelli solari e gli impianti per l’energia eolica e, a seguire, in crescita, le biomasse e gli impianti di energia geotermica.

Alla sezione di ambito ingegneristico è seguita quella dedicata alle migrazioni nella storia con gli interventi di Paola Corti (Università di Torino) e Adrea D’Onofrio (Università di Napoli Federico II). Paola Corti ha tracciato un panorama della storia delle migrazioni europee di tipo lavorativo a partire dall’ancien régime fino a giorni nostri, mostrando come nuove letture e nuovi approcci storiografici mettano fortemente in discussione l’attuale discorso anti-immigrazione. Una attenta lettura storica di lungo periodo permette infatti di capire che la mobilità non sia un fenomeno nuovo e che la narrazione che la caratterizza come un fenomeno fuori dall’ordinario derivi in parte dal fatto che le migrazioni sono state spesso rimosse dalla lettura storica – in cui domina piuttosto l’idea di sedentarietà delle popolazioni – o sono state interpretate esclusivamente in chiave pauperistica. Corti ha invece messo in luce come spesso le migrazioni per lavoro in Europa siano state di tipo ciclico e temporaneo e come abbiano in realtà portato vantaggi sia per i luoghi di partenza che per quelli di arrivo (si veda per esempio l’immigrazione transoceanica di fine Ottocento e 121 di inizio Novecento dall’Italia e dall’Europa verso l’America). Andrea D’Onofrio ha trattato il caso della migrazione forzata di popolazioni germanofone nel secondo dopoguerra dai territori dell’Europa centro-orientale verso la Germania. La migrazione ha interessato circa 14 milioni di tedeschi che vivevano nelle ex regioni tedesche orientali, come la Slesia, la Prussia, la Pomerania, o in isole linguistiche germanofone in paesi come la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e la Romania. D’Onofrio ha spiegato come proprio in questi paesi, in parte sorti all’indomani della prima guerra mondiale in seguito al collasso degli imperi absburgico, zarista e ottomano, le migrazioni forzate, con le quali si vollero eliminare le locali isole linguistiche germanofone, abbiano costituito un evento drammatico per due principali motivi. Innanzitutto il movimento migratorio in sé fu caratterizzato da violenze e stermini da parte dell’Armata Rossa nelle regioni tedesche orientali e da parte di gruppi armati delle rispettive nazioni su citate, che identificavano le minoranze germanofone con la Germania di Hitler. Inoltre, per le popolazioni germanofone orientali che scamparono alle violenze e riuscirono a sopravvivere alle fughe e alle migrazioni forzate il processo di integrazione in Germania fu molto difficile. I tedeschi orientali trovarono infatti un ambiente spesso ostile e grandi difficoltà ad integrarsi. Tuttavia nella Repubblica Federale Tedesca, già poco tempo dopo la sua creazione, fu varato un ampio programma di leggi a sostegno e integrazione degli espulsi tedeschi e che riconobbe allo stesso tempo il loro status particolare di profughi (Vertriebene). Al contrario nella Repubblica Democratica Tedesca non fu varata alcuna legge di tutela dei migranti germanofoni, nè fu presa alcuna misura che riconoscesse la loro posizione particolare.

Alla sezione storica è seguita quella dedicata a migrazioni e università. Valentina Torri, direttrice del Centro Informazioni DAAD di Roma ed Elda Morlicchio, Rettrice dell’Università di Napoli L’Orientale hanno rispettivamente tracciato un quadro di come l’immigrazione venga affrontata e gestita a livello universitario in Germania ed in Italia. Torri ha spiegato che in Germania la strategia comune del Ministero Federale per l’Istruzione e la Ricerca e del DAAD prevede misure di tre tipi: (I) la messa a disposizione gratuita di test di valutazione per accertare l’attitudine allo studio universitario dei rifugiati e il loro livello di conoscenza del tedesco e dell’inglese; (II) la creazione di un maggior numero di posti per la frequenza dell’anno propedeutico all’università e per partecipare ai corsi di lingua e corsi propedeutici in materie specifiche presso le università e (III) il sostegno economico di iniziative studentesche per l’integrazione dei rifugiati (per es. attività di tutorato, preparazione di materiali informativi). Se in Germania le principali iniziative atte a favorire l’integrazione accademica dei rifugiati vengono coordinate a livello nazionale, in Italia, ha spiegato Elda Morlicchio, manca un coordinamento e un sostegno nazionale. La maggior parte delle misure a favore dell’integrazione accademica viene infatti attuata dai singoli atenei sulla base di proprie risorse locali e di iniziative di volontari. Da ciò ne consegue che non è possibile dare dei dati precisi sul tipo e l’entità dei programmi attuati in Italia. L’unica iniziativa di tipo nazionale è stata avviata nel 2016, quando la CRUI e il Ministero degli Interni italiano hanno firmato un protocollo d’intesa per la creazione di corridoi educativi stanziando fondi per assegnare borse di studio annuali (erogate in gran parte tuttavia sotto forma di servizi, come l’esonero dalle tasse, la messa a disposizione delle strutture didattiche e l’assicurazione per gli infortuni) per circa 100 studenti rifugiati per ogni ateneo italiano. Morlicchio ha inoltre fatto riferimento a iniziative che offrono sostegno gratuito per il il riconoscimento dei titoli di studio stranieri come la rete CIMEA e l’European qualifications passport for refugees.

Nella sezione di ambito filosofico-psicologico-sociologico sono intervenuti il sociologo Erol Yildiz (Università di Innsbruck) e Zeki Çağlar, docente di competenze interculturali e direttore della società Berlin Education and Consulting. Yildiz, di origine turca, ha definito se stesso e ogni individuo con un retroterra di migrazione, non come “immigrato” bensì come “mehrheimisch”, ovvero qualcuno che ha più case/paesi di provenienza. Partendo dal presupposto che la mobilità debba essere considerata normale nella storia dell’uomo, Yildiz ha offerto una interpretazione della mobilità geografica delle persone come condizione indispensabile per lo sviluppo delle città e dell’urbanità. Nella sua lettura, lo spazio urbano, la città cosmopolita, si configura come “transtopia”, ovvero come uno spazio plurale, eterogeneo, e in quanto tale un luogo di crescita e di educazione. Zeki Çağlar ha portato esempi concreti della sua attività di assistenza e consulenza per rifugiati a Berlino. Çağlar e i suoi collaboratori mirano principalmente ad aiutare i rifugiati con problemi di integrazione a trovare una stabilità a livello psichico, offrendo una consulenza linguistica e psicologica in diverse lingue. Il raggiungimento di una stabilità psichica, una presa di coscienza della propria condizione e delle proprie potenzialità è condizione imprescindibile affinché le persone possano poi cercare di entrare nel mercato del lavoro legale e non cadere nel mercato dello sfruttamento.

L’ultima sezione è stata dedicata all’ambito medico-biologico. Paolo Narcisi, medico rianimatore all’ospedale CTO di Torino, ha parlato delle attività svolte dalla Onlus Rainbow for Africa, di cui è presidente. Ha portato esempi concreti di missioni di diverso tipo, per esempio interventi nel settore sanitario in paesi come l’Etiopia, il Burkina Faso e il Senegal con l’obiettivo di formare il personale sanitario locale e di migliorare le infrastrutture e le attrezzature sanitarie in loco. Narcisi ha aggiunto che l’associazione interviene anche in situazioni di emergenza come nelle Alpi, al confine italo-francese, dove numerosi migranti cercano di raggiungere la Francia rischiando la vita o sull’isola di Lesbo in Grecia, in cui molti profughi diretti verso l’Europa approdano e restano spesso bloccati per mesi in condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie. Paolo Parente (Ufficio Regionale Europeo dell’OMS – Programma migrazione e salute) ha parlato delle sfide che le migrazioni attuali rappresentano per la salute pubblica. Parente ha sottolineato che ai movimenti migratori si legano problemi non tanto di malattie trasmissibili quanto piuttosto di numerose gravi malattie non trasmissibili che colpiscono bambini e adulti con una storia di migrazione spesso dura e segnata da violenze e traumi. L’OMS ha a questo proposito avviato in Europa il programma MIG (Migration and Health Programme) con l’obiettivo di sostenere i propri stati membri nel migliorare l’assistenza sanitaria ai migranti e renderla più omogenea lungo le rotte migratorie. Il programma si basa su quattro aree di azione principali: l’assistenza tecnica; l’informazione sulla salute, la ricerca e il training; la costruzione di reti di collaborazione tra gli stati membri e la divulgazione e sensibilizzazione verso il tema della salute pubblica intesa come la salute di tutti.

I lavori si sono chiusi con una tavola rotonda moderata da Gabriella Lepre (Vicepresidente ADIT e Giornalista RAI). Vi hanno partecipato il giurista Giuseppe Cataldi (Università di Napoli L’Orientale), la storica Silvia Salvatici (Università di Milano), Elena De Filippo, presidente della Cooperativa sociale Dedalus e il sociologo Enrico Pugliese (Sapienza Università di Roma). Giuseppe Cataldi, in linea con l’intervento di cui sopra di Adrea De Petris, ha mostrato che dal punto di vista giuridico e con particolare riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sullo statuto dei rifugiati del 1951, il soccorso in mare non possa essere regolato facendo riferimento alla distinzione tra migranti economici e non, ma solo sulla base della presenza o meno di persone in pericolo. Silvia Salvatici ha poi ripreso il tema della narrazione/costruzione del fenomeno migratorio come emergenziale, spiegando come essa sia legata a doppio filo alla perdita della consapevolezza nel discorso pubblico di come umanitarismo e geopolitica non possano essere separati.

Inoltre Salvatici ha mostrato, come già Paola Corti nella sezione storica del convegno, che la rilettura delle migrazioni attuali in chiave storica (per esempio in riferimento all’utilizzo funzionale nell’immediato secondo dopoguerra della categoria di Displaced Person, garantita da protezione internazionale, per le sole persone provenienti dalle potenze vincitrici) possa aiutare a decostruire il discorso anti-immigrazione di oggi. Elena De Filippo ha portato un esempio concreto di come i migranti possano essere assistiti una volta arrivati in Italia descrivendo le attività svolte dalla cooperativa Dedalus, come per esempio laboratori artistici atti a favorire l’integrazione dei giovani. Enrico Pugliese ha contribuito a ridimensionare ulteriormente l’emergenzialità delle migrazioni attuali portando dati sull’emigrazione dall’Italia verso l’estero e mostrando come negli ultimi anni la migrazione in entrata e quella in uscita si bilancino numericamente e tracciando un quadro differenziato del profilo delle persone che emigrano dall’Italia, che non appartengono solo alla categoria dei “cervelli in fuga” ma anche a categorie con un livello di istruzione più basso. La parte scientifica del convegno si è chiusa con un intervento del Presidente ADIT, Sandro M. Moraldo, che ha auspicato che i soci ADIT si facciano moltiplicatori nella società italiana e in Europa di uno sguardo consapevole, non forfettario e impressionistico sui fenomeni migratori attuali.

ADIT ringrazia il Prof. Matteo Sanfilippo, codirettore della rivista A.S.E.I. Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana, e la Prof. Paola Corti, componente del Comitato Scientifico della rivista, per aver concesso la pubblicazione della Scheda del nostro Convegno contenuta nella Rivista A.S.E.I. N. 15/2019.

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