Migrationsliteratur: intervista alla prof.ssa Ulrike Reeg

Gastarbeiter

A margine della Veranstaltung in tema di Migrationsliteratur: una breve intervista di Corrada Giammarinaro alla prof.ssa Ulrike Reeg

Gentile Ulrike, la mia prima domanda verte sulla stessa definizione di Migrationsliteratur, e cioè vorrei sapere se con questo termine gli odierni studiosi identificano un vero e proprio genere letterario, dotato di sue peculiari caratteristiche formali, o più semplicemente se ne avvalgono in senso descrittivo, per fare riferimento ad una cerchia di scrittori la cui storia personale e/o familiare ha a che fare con l’emigrazione.

Cara Corrada, a questa domanda vorrei dare una risposta il più possibile “aperta”; anzitutto, voglio precisare che la “Migrationsliteratur” in Germania trae origine, tra l’altro, dal processo di scrittura dei cosiddetti Gastarbeiter, soprattutto di origine italiana, che nei loro versi semplici e popolari esprimevano, a partire dagli anni ’60, la nostalgia della patria lontana ed il loro bisogno di comunicare in un contesto che non offriva molte occasioni di dialogo. Gli studiosi cominciano ad interessarsene sotto il profilo della funzionalità linguistica e degli aspetti socio-politici sottostanti. Nel succedersi delle generazioni, assistiamo anzitutto al fatto che, a differenza di quanto avveniva con i Gastarbeiter, si comincia a scrivere nel contesto di migrazione in lingua tedesca, e via via viene ad ampliarsi tanto la cerchia dei lettori interessati a questa nuova realtà sociale, quanto la compagine degli scrittori “interculturali” e plurilingue. In molti casi non parlano più, almeno in forma diretta, di argomenti collegati alla migrazione; talchè, si procede ad una analisi più accurata e metodologicamente variegata della loro produzione, che non può più essere classificata tout court come “Migrationsliteratur” in base a criteri meramente contenutistici.

Allora cara Ulrike come seconda domanda ti chiederei quali sono per te gli elementi di maggiore interesse di questa che definirei “Interkulturelle Literatur”, piuttosto che “Migrationsliteratur”, secondo quanto hai evidenziato nella tua prima, dettagliata, risposta.

Gentile Corrada, la risposta a questa seconda domanda evidentemente non è semplice… direi che questi autori si cimentano in ogni caso con l’elaborazione in senso letterario di lingue diverse tra loro, che trovano radice e luogo di scambio nel sostrato di memoria pluriculturale formatosi dalla loro storia personale e familiare; tale processo conduce necessariamente ad un superamento, tanto sotto il profilo più strettamente linguistico quanto in riferimento agli stessi canoni estetici, dei confini intercorrenti tra singole identità e modelli culturali determinati, ed a giudicare dal successo che alcuni di questi scrittori hanno tra il pubblico direi che tale ampliamento di prospettiva è di estremo interesse non soltanto per gli studiosi di germanistica!

Gentile Ulrike, a questo punto, facendo un paragone con l’Italia, ti chiedo se la letteratura tedesca ha registrato fenomeni similari nel rapporto con i dialetti. In buona sostanza, quel che hai appena detto mi ha richiamato alla memoria la sperimentazione di Carlo Emilio Gadda nel suo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”: in quel caso, uno scrittore per così dire “laureato”, di estrazione borghese e di origini lombardissime restò affascinato dal materiale linguistico di cui erano portatori i parlanti del sud Italia che emigravano a Milano e Torino per ragioni di lavoro, e ne fece una sua personalissima elaborazione.

Cara Corrada, in Germania, limitandosi agli scrittori di madre lingua tedesca, non abbiamo avuto niente di simile, presumibilmente perchè la storia sociale dei nostri Paesi è, sotto questo profilo, diversa. Un fenomeno di altro tipo, ma che pure ha a che fare con i temi di cui stiamo trattando, è purtroppo stato quello della cosiddetta “Exilliteratur”, allorchè i più grandi scrittori tedeschi della generazione degli anni ’30 furono costretti ad emigrare dal regime nazionalsocialista. La maggior parte di loro continuò però a scrivere in lingua tedesca, ed i pochi esperimenti di scrittura nella lingua del Paese di accoglienza non ebbero lo stesso successo di critica e tantomeno di pubblico.

Cara Ulrike, mi fai venire alla mente che Thomas Mann, negli anni dell’esilio, si distacca in parte dal romanzo storico e scrive la tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli, abbracciando il mito quale forma di espressione letteraria… ma questo potrebbe essere il tema di un prossimo convegno al quale mi auguro di partecipare! Ti ringrazio di cuore a nome degli Alumni DAAD Italia e di tutti i visitatori del nostro sito!